Il testo riprodotto in questa pagina è un estratto dell'articolo pubblicato nel numero 118 della Rivista di Studi Tradizionali.
Il testo integrale, completo delle note, è disponibile con l'acquisto del numero corrispondente della rivista.
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Il “transumanesimo“ è stato definito come «un movimento culturale, intellettuale (sic!) e scientifico, che afferma il dovere morale di migliorare le capacità fisiche e cognitive della specie umana e di applicare le nuove tecnologie all’uomo, affinché si possano eliminare aspetti non desiderati e non necessari della condizione umana come la sofferenza, la malattia, l’invecchiamento, e persino l’essere mortali» .
Una simile definizione (a parte l’assurda pretesa all’immortalità) può rendere benaccetta, a coloro che si fidano dei divulgatori, quella che invece, come vedremo, non è che una operazione di condizionamento, di controllo, di coercizione, di disumanizzazione, spinta all’estremo.
Non è del resto sorprendente né infrequente che le peggiori finalità vengano presentate come benefiche e filantropiche. Il giornalista Marc O’Connel ha raccolto una interessante serie di interviste e di documenti che possono dare un’idea abbastanza precisa del movimento e li ha pubblicati in un libro che è stato tradotto anche in italiano, dalla casa editrice Adelphi, con il titolo: Essere una macchina.
Un meeting in Vaticano
Il 23 ottobre 2021, presso il Collegio Teutonico di Santa Maria dell’Anima, in Vaticano, si è svolto un meeting, così definito, avente come titolo “Code to the metaverse at the Vatican“. Si tratta di un incontro riservato soltanto a persone espressamente invitate (nella presentazione è definito -invitation only-) e, a quanto ci è dato constatare, poco pubblicizzato, almeno in Italia.
L’incontro è organizzato da WiseKey, una ditta svizzera specializzata nell’autenticazione digitale e nella cybersecurity, in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense. Nel dépliant di presentazione ancora visionabile sul sito di WiseKey si legge che...
...In una intervista del 10 gennaio 2016 alla Radio Television Suisse, Schwab, sotto la spinta dell’oralità, è molto più esplicito. Alla domanda sul famigerato microchip impiantabile, risponde:
«Esattamente nei prossimi dieci anni, prima lo impianteremo nei nostri vestiti, indossabile, come diciamo, e dopo potremo immaginare che saranno impiantati nel nostro cervello o nella nostra pelle. E, alla fine, forse ci sarà una comunicazione diretta fra il nostro cervello e il mondo digitale: quello a cui assistiamo è una sorta di fusione fra il mondo fisico, digitale e biologico».
Sta avvenendo. The Newsweek ha qualche anno fa pubblicato un articolo in cui si parlava della vera e propria moda del chip sottocutaneo che si stava diffondendo in Svezia , e The Guardian già nel 2019 aveva documentato l’introduzione di tale pratica in alcune aziende degli Stati Uniti. In quest’ultimo articolo si parlava anche di monitorare l’attività cerebrale del dipendente attraverso scanner EEG.
E poi ci sono, ovviamente, gli investimenti in ambito militare. La CNN, in un articolo del...
La connessione tra ricerca e finanziamento privato diveniva ora dominante. La strada per le grandi multinazionali del farmaco era aperta. Si tratta di una storia ancora in corso. Da un lato, gli studi in campo neurologico hanno permesso di abbattere il mito dell’invariabilità del sistema cerebro-spinale adulto.
Si tratta della “neuroplasticità”: non solo le reti neuronali si formano e si disfano nel tempo in base ai comportamenti acquisiti, alle abitudini ed a ogni altro atto ripetuto in grado di cristallizzare forme comportamentali/cognitive, ma anche nuovi neuroni possono formarsi in base a vari processi...
Schwab e Malleret nel già citato libro Covid-19: the great reset sono molto più chiari ed espliciti:
il mondo che ci attende sarà un mondo in cui il singolo dovrà accettare un continuo e pervasivo controllo su tutte le sue attività private.
Osservano che «il tracciamento e la schedatura dei contatti sono dunque componenti essenziali della nostra risposta di sanità pubblica al Covid-19», e dopo una disamina delle varie forme di controllo più o meno invasive, volontariamente accettate o meno, ricordano che «la preoccupazione costante manifestata dal legislatore, dagli studiosi accademici e dalle organizzazioni dei lavoratori è che....