UNO STRANO «INDUISMO»

Autore: Gianni Confienza

Il testo riprodotto in questa pagina è un estratto dell'articolo pubblicato nel numero 110 della Rivista di Studi Tradizionali.

Il testo integrale, completo delle note, è disponibile con l'acquisto del numero corrispondente della rivista.

... Dobbiamo segnalare un fenomeno relativamente recente consistente nel tentativo, da parte di certi scrittori e di certi «ashram» induisti, di diffondere l’idea che l’induismo sia l’unica tradizione valida, e l’unica che iniziaticamente comporti ancora le più elevate possibilità.

Tali correnti, variamente differenziate, vanno dalle solite lezioni di Yoga, però nobilitate da una infarinatura dottrinale, fino alle pretese di fornire metodi che trascendono lo Yoga con una immediata realizzazione del Sé.
Queste iniziative fatalmente si scontrano con l’ostacolo dell’opera di R. Guénon, che viene in parte sfruttata in modo parassitario e in parte inevitabilmente contestata. Detto così in breve, sembra incredibile che idee del genere trovino consenso in coloro che “qualcosa di Guénon” hanno letto, e invece, rimescolato in molti e interminabili articoli a commento dei testi vedantini, un simile messaggio viene confusamente recepito da molti, che sembrano non accorgersi delle innumerevoli contraddizioni e delle assurdità che vi sono contenute.

In Italia l’ideologia in questione - che vuole riferirsi non allo Yoga ma al Vêdânta - è sostenuta particolarmente dallo scrittore Gian Giuseppe Filippi e da un altro occidentale a firma Devadatta Kīrtideva Aśvamitra, i quali utilizzano principalmente Internet come mezzo di diffusione, cioè proprio il meno adatto a trattare delle più elevate dottrine metafisiche per il suo intrinseco carattere dissolvente e antitradizionale.

Dal “sito” principalmente utilizzato, si può facilmente evincere quali siano le linee-guida, sulla base dei testi di riferimento pubblicati:
troviamo ad esempio in tutta evidenza un articolo dal titolo: «PERCHÉ GLI AVATĀRA SI MANIFESTANO SOLO IN INDIA?» (Autore: Svāmī Śrī Hariharānanda Sarasvatī), nel quale si nega esplicitamente la validità di altre tradizioni e l’autenticità di Profeti altri che non gli Avatâra della tradizione Indù. La posizione è dunque sovrapponibile a quella (forse nemmeno più attuale) del Cattolicesimo che si pretende unica religione autentica, concedendo a tutto il resto dell’umanità solo una morale naturale sprovvista tuttavia di potere salvifico. Le tesi sostenute in predetto articolo sono talmente tendenziose ed esclusiviste che potrebbero essere condivise, o da chi sia indù di nascita e non abbia mai sentito la necessità di guardare fuori dal suo mondo, o da chi sia completamente suggestionato da un ambiente settario - (se si vuole escludere la malafede). Simili forme di esclusivismo sono comunque abbastanza diffuse: anche nel mondo islamico, per esempio se ne incontrano, non solo in ambienti strettamente exoterici, ma anche in certe scuole esoteriche che abbiano subito un impoverimento sotto forma di una deriva exoterica (e questo nonostante le chiare indicazioni sulla validità di altre forme tradizionali contenute in diversi versetti coranici, che vengono arbitrariamente aggirati con “esegesi” ad hoc).

Queste situazioni provocano spesso un certo imbarazzo da parte di coloro che, avendo letto l’opera di R. Guénon, si pongono da un punto di vista molto più ampio.
Quanto al signor Gian Giuseppe Filippi, che aveva letto l’opera di R. Guénon almeno in gioventù, e che continua a valersene diffusamente, salvo contestarla in ciò che non ritiene conforme alle sue opinioni, non potendo evidentemente presentarsi con la tesi della falsità di tutto ciò che non è Induismo, sceglie la strada di sostenere che tutte le altre tradizioni non sono più valide dal punto di vista iniziatico nella situazione presente; e ciò che più gli importa è cercare di minimizzare, se non proprio negare del tutto, la validità attuale dell’esoterismo islamico.

In una trattazione intitolata Il Serpente e la Corda, “messa in rete” e poi anche “stampata” (diciamo stampata e non pubblicata in quanto contenuta in una brochure della: «EKATOS edizioni private», iniziativa editoriale molto sui generis, che propone in vendita su Internet fascicoli con testi di differente natura, tra cui anche testi di Muhyiddîn Ibn ‘Arabî e dello Shaykh At-Tadilî , tratti, con la tecnica del copia-incolla, dalla Rivista di Studi Tradizionali, presentati poi su Internet con le riserve derivanti dall'adesione alle idee di G. G. Filippi. Tale incongruente “attività” si presenta parallela a quella di un “blog” Scienza Sacra, della cui “serietà” già abbiamo parlato nel nostro N° 108, luglio - dicembre 2017), troviamo fin dall'inizio esplicitate le idee di cui sopra, come vedremo scorrendo l’introduzione e i primi due capitoli.

Affermando che:
«La migliore conoscenza filologica si rivela del tutto insufficiente a rendere in traduzione i veri significati anche dei testi più elementari, visto che l’unico vero mezzo di conoscenza in questo dominio è l’Intuizione», il signor G. G. Filippi intende fin da subito rivendicare la sua conoscenza per Intuizione (con la I maiuscola) e d’altra parte nel seguito dirà che la sua esposizione è motivata dal fatto che l’opera di R. Guénon (a suo parere) non ha dato i risultati sperati. Di questi tempi c’è una “epidemia” di personaggi che si ritengono superiori a Guénon, ma che nelle loro rivendicazioni danno prova di squilibri di vario genere.

Nell'introduzione troviamo una severa critica dei tempi moderni, giusta in certi punti, in altri falsata da affermazioni gratuite. (Ad esempio vi si legge:«”Dio non è cattolico”, ha affermato di recente il principale dirigente di ciò che fu la Chiesa Cattolica, forse intendendo dire che, a suo modestissimo parere, Dio dovrebbe essere ateo». Da quanto si può attingere dai mezzi d’informazione, la frase di Papa Francesco era: « Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio». Non vediamo come un iniziato possa equivocare su una affermazione giusta, anche da un punto di vista semplicemente teologico.)

Dopo aver affermato che:
« è stato sradicato il concetto di classe sociale... attraverso ripetute rivoluzioni ... riducendo la società a una poltiglia informe».
Ed ancora che:
«L’assenza di un sacerdozio cattolico per nascita comporta di conseguenza che anche gli ecclesiastici siano parte di questa poltiglia informe», arriva ad affermare che:
«Riguardo all'assenza di un sacerdozio, queste considerazioni possono essere estese, nelle attuali condizioni, a tutte le forme tradizionali... tranne che all'induismo dove esiste almeno di fatto la struttura castale».
In questo modo vorrebbe includere l’Islam in questa sua “poltiglia informe” poiché anche l’Islam sarebbe pregiudicato dall'assenza di un sacerdozio.

In realtà nell'Islam non esiste una gerarchia exoterica, ma ciò non pregiudica nulla (come potrebbe l'exoterismo vivificarsi da sé?) perché esiste una gerarchia iniziatica, attraverso la quale l’intera «comunità dei credenti» beneficia dell’influenza spirituale proveniente dal Polo spirituale della Tradizione stessa.

In una nota l’autore polemizza su certe tesi di M. Vâlsan:
«Vâlsan, con la sua consueta ignoranza dell’induismo, in uno dei suoi articoli di “propaganda” in favore della shari’a islamica afferma: “En tout état de cause, dans l’intégration finale dont il s’agit, l’Hindouisme ne peut jouer aucun rôle sur le plan formel de la tradition : sur ce plan, sa définition, conditionnée par le régime des castes, est non seulement inextensible hors le monde hindou actuel, mais aussi destinée à disparaître dans l’Inde même : ses modalités sociales et culturelles spécifiques ne pourront malheureusement pas survivre à la dissolution qui se poursuit à notre époque. Dans la phase actuelle du Kali-Yuga, les choses devant aller jusqu’à l’état, annoncé dans les Livres sacrés de l’Inde, «où les castes seront mêlées et la famille n’existera plus», la base indispensable même de la tradition hindoue, le régime des castes disparaîtra et lorsqu’un redressement traditionnel deviendra possible, il ne pourra l’être que dans la formule fraternitaire d’une législation sacrée comme celle de l’Islam.” (Michel Vâlsan, “Le Triangle de l’Androgyne et le Monosyllabe «OM»” II, Etudes Traditionnelles, mai-juin et nov.-déc. 1964).
Questa “profezia” vâlsaniana fortunatamente in India non s’è verificata nonostante la tristezza dei tempi; al contrario, la confusione delle caste, diffusa in tutto il resto del mondo, è stata sancita come regola sociale proprio nell'egualitarismo islamico (nella citazione addolcito in “formule fraternitaire”), come adattamento legislativo per l’ultima religione monoteista alla situazione caotica del kali yuga. »

Dal canto suo, G. G. Filippi dà sfogo alla sua antipatia per l’Islam e dipinge a tinte fosche sia la situazione religioso-sociale che quella del Tasawwûf ; così si lancia in una “tirata” in cui dà prova di acredine, supponenza, disinformazione, tanto che non riteniamo di doverne fare un commento in modo analitico.

Quanto alla nota precedente, sembra che Vâlsan da un lato e Filippi dall'altro facciano a gara a chi è più fazioso, col risultato di screditare del tutto le rispettive pretese di attendibilità.

In una recensione (a firma: Pāpahara Daṇḍakartā Nagottama), che compare sul sito internet già menzionato, a proposito di un libro di C.-A. Gilis, al dissidio con i «valsaniani» è dato più ampio spazio:
dopo una esposizione, che fino ad un certo punto appare equilibrata, dei motivi di contestazione di certe tesi contenute nel libro, la cui vera finalità sarebbe una esaltazione della figura di M. Vâlsan, il recensore anche qui generalizza certe situazioni ambientali particolari per dare sfogo al suo spirito di parte. Dopo aver accusato, magari a ragione, Vâlsan di aver strumentalizzato il capitolo di R. Guénon: I misteri della lettera nûn, interpretandolo in modo troppo favorevole alla tradizione islamica, il recensore fa altrettanto nel senso della tradizione Indù, introducendo a sua volta interpretazioni individuali che non esistono nel capitolo in questione, e conclude dicendo che: « il Sanātana Dharma ...è del tutto grato ai muqqaddam o shuyukh fai-da-te che pullulano in l’Europa (sic.).

Infatti essi svolgono un importante ruolo di filtraggio, trattenendo nelle loro conventicole i “guénoniani” squalificati che potrebbero andare a inquinare le autentiche vie iniziatiche».

Sembra che il Sanātana Dharma sia un loro conoscente di cui conoscono le opinioni! Quando entrano in gioco certe emotività si rischia sempre di dire qualche sproposito a dispetto delle proprie pretese dottrinali.
Eppure R. Guénon, nel suo articolo: I misteri della lettera nûn, è come sempre di una chiarezza che non dovrebbe comportare equivoci di sorta. Dopo aver sviluppato il tema di un complementarismo fra la lettera sanscrita «na» e quella araba «nûn», la cui riunione esprime simbolicamente il compimento dell’attuale ciclo cosmico per mezzo della congiunzione del suo inizio e della sua fine, aggiunge nella conclusione: «ciò che abbiamo appena detto permette di intravedere che il compimento del ciclo, così come lo abbiamo considerato, deve avere una certa correlazione, nell'ordine storico, con l’incontro di due forme tradizionali che corrispondono al suo inizio e alla sua fine, e che hanno rispettivamente come lingue sacre il sanscrito e l’arabo: la tradizione indù in quanto essa rappresenta l’eredità più diretta della Tradizione primordiale, e la tradizione islamica, in quanto «sigillo della Profezia» e, di conseguenza, forma ultima dell’ortodossia tradizionale per il ciclo attuale».

E d’altra parte lo stesso R. Guénon esemplarizza nel modo più essenziale, con la sua opera e con la sua vita, questo complementarismo e questa riunione, come in una prefigurazione di quanto alla fine dovrà compiersi, in un ambito che non potrà certamente essere esteriore o settario.

Nel primo, breve, capitolo, dal pretenzioso titolo: ATTUALE SITUAZIONE DELLE FORME TRADIZIONALI E DELLE ORGANIZZAZIONI INIZIATICHE, il signor G. G. Filippi incomincia col dire che:
«Se René Guénon affermava nel 1947 che molte porte si erano ormai chiuse, egli stesso non avrebbe potuto immaginare la rovinosa situazione che si è prodotta dopo la sua scomparsa ».

Si allude qui a una lettera di R. Guénon a M. Clavelle del 1933 (e non del ‘47) in cui dice che «certe porte, da parte occidentale, si sono chiuse in modo definitivo». La posticipazione al 1947 (anno della formazione della Loggia La Grande Triade) e la sostituzione della parola “molte” a “certe” è un maldestro tentativo di inglobare anche la Massoneria in quell'affermazione che riguardava soltanto il Cristianesimo («... Mi ponete una domanda sulla questione dell’“attitudine”, se vi è qualcosa di cambiato dalla pubblicazione di alcune delle mie opere vi risponderò assai nettamente: sì, certe porte, da parte occidentale, si sono chiuse in modo definitivo. Non mi sono mai fatto, d'altronde, illusioni, non avevo però il diritto di dar l’impressione di trascurare certe possibilità; la situazione doveva farsi del tutto netta, e quel che io ho fatto ha contribuito per parte sua. Può darsi che ci sia ancora un ultimo risultato (negativo) da ottenersi affinché ciascuno sappia cosa deve fare senza equivoci possibili...».).

Quanto invece all'affermazione che R. Guénon “non avrebbe potuto immaginare”... è una semplice “immaginazione” dello stesso Filippi, contraddetta da quanto si può constatare circa la precisione con cui R. Guénon delinea - non certo servendosi dell’immaginazione - gli sviluppi del mondo moderno.

Dopo aver brevemente “liquidato” il Cattolicesimo e l’Ebraismo (si possono certamente ammettere molte critiche, non le esagerazioni e il tono sprezzante), la requisitoria del Filippi si rivolge contro l’Islam:
«L'islâm, che alcuni per errore di valutazione considerano come una religione “orientale”, mentre, come ogni religione “monoteistica”, è perfettamente occidentale, da almeno quarant'anni è in preda a una inattesa situazione di degenerazione rapidissima e devastante».
Quell'«alcuni per errore» si riferisce ovviamente a Guénon, che considera l’Islam una tradizione fondamentalmente orientale soprattutto per quanto riguarda l’esoterismo («La civiltà islamica è infatti, fra le civiltà orientali, quella che più si avvicina all'Occidente e si potrebbe dire che per le sue caratteristiche e per la sua situazione geografica essa sia l’intermediaria naturale, sotto diversi aspetti, fra l’Oriente e l’Occidente; anche la sua tradizione ci appare tale da poter essere considerata in due modi profondamente distinti, l’uno puramente orientale, e l’altro -il modo propriamente religioso- simile a quello proprio della civiltà occidentale». Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Parte II, cap. II - I principi di unità delle civiltà orientali.):

questa contestazione serve al Filippi per il suo voler ridurre la tradizione islamica a una «religione» e inglobarlo nella generale condizione di declino dell’Occidente.

Quanto poi alla pretesa che l’Islam si trovi in una situazione di «degenerazione rapidissima e devastante», si tratta di una valutazione completamente errata: da almeno quarant'anni, infatti, l’Islam inteso come pratica religiosa, ha nettamente ripreso vigore ed aumentato la sua diffusione rispetto ai decenni precedenti; nei paesi islamici coloro che praticano con regolarità sono molto più numerosi di quanti non fossero ad esempio negli anni ‘60 - ‘70. Questo eccezionale rafforzamento del sentimento religioso in generale non può che essere un riflesso, seppur indiretto, di una influenza spirituale effettiva; tuttavia, come è nell'ordine naturale delle cose, tale rafforzamento comporta, come effetto collaterale, che in certi casi particolari si verifichino estremizzazioni (ed è tristemente noto il fenomeno dello sfruttamento politico, con la costituzione di organizzazioni che dal punto di vista ideologico non sono che sette eterodosse, quindi estranee alla tradizione islamica nonostante gli appellativi che queste abusivamente si attribuiscono a fini propagandistici. Essendo poi l’Islam autentico la vera vittima e le popolazioni islamiche a soffrirne più di tutti, c’è da chiedersi quali siano le vere origini e finalità di simili organizzazioni. Sarebbe utile tenere presente quanto R. Guénon scriveva, nel 1924: «Il vero panislamismo è soprattutto un’affermazione di principio, dal carattere essenzialmente dottrinale; perché essa assuma la forma di una rivendicazione politica bisognerà che gli europei commettano errori ben gravi; ad ogni buon conto, il panislamismo non ha niente in comune con un qualunque “nazionalismo”, il quale è del tutto incompatibile con i concetti fondamentali dell’Islam». Oriente e Occidente, cap. IV - Terrori immaginari e pericoli reali.);

d’altra parte certi fenomeni di fanatismo anche violento sono sempre stati comuni alle religioni nella loro forma più esteriore, storicamente o attualmente, non esclusi l’Induismo e il Buddismo.

A parte le questioni riguardanti le pratiche religiose - che non dovrebbero nemmeno rientrare negli argomenti qui trattati -, per lo stesso fenomeno di rafforzamento cui abbiamo accennato, anche le organizzazioni di natura iniziatica sono più diffuse e più numerose che in passato. Questa maggior diffusione - che pure è sintomo di grande vitalità - per quelle che sono le condizioni generali della nostra epoca, non è immune da inconvenienti dovuti all'aggregazione di elementi non particolarmente qualificati. Inoltre anche nell'ambito di quello che dovrebbe essere il dominio iniziatico si verifica il fenomeno della formazione di correnti eterodosse ad opera di falsi maestri, fenomeno ricorrente in tutte le forme tradizionali, ma che ora assume particolare rilievo per l’invasività delle comunicazioni mediatiche.

Ma tutto questo non inficia minimamente la validità dell’esoterismo islamico in sé, né le possibilità che può comportare per chi presenta le necessarie qualificazioni:
ogni essere troverà ciò che realmente cerca e che corrisponde alla sua natura interiore. Potremmo ricordare le parole dello Shaykh Shadîlî:

«Guardatevi dal dire: non ci sono più gli Iniziati grandi ed autentici. In realtà non scompaiono, sono come il Tesoro sotto il muro: e Allah darà a chi verrà nel tempo ultimo quel che ha nascosto a quelli del tempo primo».

Il signor G. G. Filippi invece usa la tecnica della generalizzazione e del pressapochismo contro la tradizione islamica in generale; e neanche la tradizione massonica, come prevedibile, sfugge alle sue sprezzanti valutazioni:
«...possiamo solamente menzionare il miserevole rudere delle iniziazioni di mestiere ... ».

Definire l’iniziazione massonica in questo modo è innanzitutto una affermazione falsa ed anche una dimostrazione di incomprensione da parte di questo “scrittore” che, sia per quanto riguarda la Massoneria che il Tasawwûf , vanta una conoscenza che palesemente non possiede; e quanto a ciò che pretende sapere per “esperienza diretta” si tratta evidentemente di qualcosa che può aver incontrato in corrispondenza alla propria natura e alle proprie intenzioni (ed è alquanto paradossale che le opinioni del signor Filippi vengano condivise e diffuse da quegli stessi attivisti che “imperversano” su Internet propagandando “Massonerie Tradizionali” e Logge dedicate a René Guénon).

Nel secondo capitolo riguardante «l’Induismo contemporaneo e le sue organizzazioni iniziatiche», ritroviamo ancora la tesi di un preteso “insuccesso” dell’opera di R. Guénon:

«Finora il percorso tradizionale usato da René Guénon nei suoi libri per illustrare la dottrina vedāntica agli occidentali s’era sempre affidato a una lunga preparazione preliminare basata sullo studio del Sāṃkhya e dello Yoga. Questa scelta era motivata dal desiderio di procedere per gradi ... ».

Se in effetti l’esposizione di R. Guénon procede per gradi e costituisce in un certo modo un adattamento per rendere la dottrina accessibile agli occidentali, essa raggiunge in breve la metafisica pura, riferendosi, come si sa, al Vêdânta e alle Upanishad. Non solo, ma con la chiara esposizione dottrinale riguardante la «realizzazione discendente» giunge al punto più elevato su cui nemmeno Shankarâchârya aveva voluto «sollevare il velo».

Secondo il signor Filippi:
«Nonostante l’immenso sforzo intellettuale e l’elevatissimo livello d’insegnamento prodotto da Guénon, a quanto ci consta in tutta evidenza questo procedimento non è approdato a buon porto».

“In tutta evidenza” il signor Filippi non sa nulla di ciò che l’opera di R. Guénon può aver comportato finora, e né lui né altri conoscono il futuro; certo è che questa opera straordinaria dovrà svolgere una funzione fondamentale nelle ultime fasi di questo ciclo, e fin d’ora si può vedere come solo coloro che ne abbiano una comprensione corretta e ne abbiano saputo trarre correttamente le conseguenze, manifestino un equilibrio sufficiente per non perdersi nel disordine del mondo moderno e sfuggire alle insidie dei falsi esoterismi e delle ingannevoli promesse che incessantemente vengono riversate su di una umanità sempre più disorientata.
Ma venendo dunque, nel capitolo in questione, a quella che pare essere la parte propositiva, leggiamo che:

«Se qualcuno può pensare che il contenuto di queste pagine sia una dottrina riservata a coloro che sono inseriti nell'induismo, ebbene, costui sbaglia. Come s’è già detto, l’Advaita Vedānta è la metafisica e perciò rappresenta il superamento dell’induismo come anche di qualsiasi forma tradizionale particolare. Ciò che si potrà leggere di seguito è valido dunque per chiunque sia regolarmente iniziato e abbia il desiderio irrefrenabile e le qualifiche intellettuali per conoscere il proprio Sé».

Quindi: bisogna essere iniziati, qui non è detto a che cosa (Si legge nella recensione già citata: «Con la spudorata menzogna per cui non sarebbe possibile per gli occidentali ricevere un’iniziazione hindū ... questi ambienti direttamente o indirettamente vâlsaniani cercano d’evitare una temuta concorrenza.» Quindi è proprio una «iniziazione indù» quella di cui si tratta.), e, senza essere “inseriti nell'induismo”, sarebbe possibile ottenere la “conoscenza del proprio Sé”. D’altra parte la necessità di una pratica exoterica di base era già stata sdegnosamente scartata (è questo un tratto caratteristico dei “falsi istruttori spirituali”); e quindi lo scoglio dell’estrema difficoltà per un occidentale di venire integrato nella tradizione Indù viene superato semplicemente sostenendo che tale integrazione non sarebbe necessaria perché l’Advaita Vedânta supera l’Induismo (!)

Una simile “acrobazia” si scontra con la realtà delle cose.

Non è pensabile che un metodo di realizzazione spirituale possa prescindere da una intensa attività rituale, ed un «rito», qualunque esso sia, non può che appartenere ad una specifica tradizione, dalla quale trae la sua origine e la sua efficacia, tradizione alla quale deve essere necessariamente ricollegato colui che lo pratica. Inoltre se si sostiene (come fermamente si sostiene da parte di fautori della corrente in questione) che per un occidentale è possibile ricevere l’iniziazione, tale iniziazione è anch'essa, prima di tutto, un «rito», incompatibile con la non appartenenza alla tradizione specifica dello stesso.
In più circostanze R. Guénon parla di «metafisica indù» e scrive anche che la tradizione indù è propriamente di natura metafisica; di conseguenza dire che il Vêdânta è il superamento della tradizione indù è un vero non-senso.

Quantomeno viene poi affermato che una condizione necessaria è che l’insegnamento venga direttamente da un Guru:
«Quello che deve essere tenuto come discrimine è che non esiste autentico Advaita Vedānta se non quello insegnato da un saṃnyāsin regolarmente risalente a una catena iniziatica riconosciuta dai Pīṭha fondati dallo stesso Ādi Śaṃkara Bhagavadpāda.
E, poiché per regola, i saṃnyāsin “non attraversano l’Oceano”, qualsiasi insegnamento di Advaita che possa essere ricevuto in Occidente non potrà essere riconosciuto per effettivo. Al massimo ci potrà essere un qualche istruttore autorizzato a esporre una preliminare esplicazione teorica».

Ma quale Guru accetterebbe come discepoli dei non indù, cioè dei fuori-casta, provenienti dal mondo occidentale moderno, non integrati in una vita tradizionale, per applicare un metodo che richiede l’aver già preventivamente cancellato qualunque desiderio di questo mondo e dell’altro?
(Riportiamo un passaggio dell’articolo di Giovanni Ponte:
Shankara e il Vêdânta, in R.S.T. n. 40 - ripubblicato nel n. 105, gennaio - giugno 2016.
«E Shankara è particolarmente esplicito nel definire le condizioni preliminari per affrontare la via del Vêdânta: tra l’altro, oltre a una capacità di concentrazione inimmaginabile per un Occidentale, ogni sorta di desiderio individuale, da quelli corporei e sessuali fino a quelli relativi agli stati paradisiaci, dovrebbe già essere ormai spento alla radice. Ciò implica che sia già avvenuto il compimento integrale al livello umano della propria casta; e a questo proposito ricordiamo che i dieci ordini iniziatici fondati dallo stesso Shankara erano riservati originariamente ai soli aspiranti provenienti dalla casta dei Brahmani, mentre soltanto nove secoli dopo furono ammessi anche dei membri provenienti da altre caste, restando comunque esclusi i fuori-casta, quali sono senza dubbio gli Europei. [...]».
Per più ampi riferimenti a questo proposito, vedere l’articolo di G. Ponte: QUESTIONI PRATICHE, da R.S.T. n. 13 -1964 e n. 15 - 1965, che ripubblichiamo in questo numero.)

E quale aspirante veramente qualificato sceglierebbe di affidarsi ai Guru che si mostrano nelle gallerie fotografiche dei siti Internet e i cui discepoli, o presunti tali, si abbandonano a discorsi come quelli di cui stiamo parlando?
Certamente un Maestro del Vêdânta come Shri Râmana Maharshi non avrebbe mai indotto nessuno ad esprimersi in tal modo, né riguardo alla tradizione Indù né riguardo alle altre tradizioni (è noto che aveva chiamato R. Guénon: il grande Sûfi).

Dobbiamo per ora limitarci a queste considerazioni, che già danno un’idea delle confusioni e delle illusioni che possono essere indotte da questa corrente di idee. Tuttavia essendo la produzione di G. G. Filippi ampia e articolata e non avendo finora parlato se non delle sue premesse, dovremo, quando possibile, ritornare sull'argomento, per vedere obiettivamente a quali sviluppi tali premesse conducano....

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